Scrivo questo post a seguito dell'affermazione imbarazzata e imbarazzante del mio primogenito, che a pranzo a casa di amici, durante le feste, richiamando la mia attenzione ha ammesso di non sapere rispondere alla domanda che gli rivolgeva un amichetto sulla mia occupazione.
Mi occupo di tutto e niente, ho tanti interessi e pochi soldi, sono una mamma che segue i figli come e quando può, non una donna perfettamente in carriera; ho fatto delle scelte importanti che non ripagano in dobloni sonanti ma in grandi soddisfazioni affettive.
Ricordo ancora quel giorno, in seconda liceo, in cui la nuova professoressa ha preso un foglio bianco e ci ha invitati a farlo passare tra i banchi scrivendo ognuno la professione dei nostri genitori, senza altre generalità. Avevo solo diciassette anni e tanta voglia di studiare, non riuscivo proprio a capire il nesso tra il mio impegno scolastico, il rendimento e l'occupazione di mio padre e mia madre.
Altra occasione indimenticabile, cena di compleanno di una mia amica, nel suo splendido appartamento, raffinato e arredato con gusto. La madre, che sarebbe dovuta restare in disparte, si è unita a noi invitati e ci ha interrogati uno ad uno riguardo albero genealogico e relativa professione dei familiari.
Sono nipote di contadini e figlia di operai, onesti e gran lavoratori, ma certo socialmente non altolocati. Ho appreso da mio padre l'amore, la dedizione quasi, per la terra e i suoi frutti, il rispetto del ciclo della vita, la legge del più forte e idoneo a resistere e sopravvivere; da mia madre l'impegno quotidiano, l'esserci sempre e comunque e soprattutto il sapersi accontentare.
Però non sono mai capitata nella classe degli eletti (dal verbo latino elìgere, scegliere), come dire ho sempre fatto parte del gruppo dei figli di un dio minore.
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