Di nuovo, un lutto per la comunità del Paesello mio.
Ne scrivo perché mi sento coinvolta, dato che ci siamo spesso incrociati lungo i corridoi di quel reparto dove la speranza pretende lunghe sedute e pesanti effetti collaterali, gli accompagnatori sostano in silenzio e preghiera oltre la porta di vetro sbalzato. Eravamo vicini di nonne alla Rocca: la Peppa e la Marghirita sedevano vicine sugli scalini, la Zoca era una maestra formidabile con i ferri e quando c'era da riprendere una maglia o recuperare un disastro ci pensava lei, attorniata dalla nidiata di nipoti.
La famiglia è conosciuta, anzi le famiglie: per il nucleo numeroso, per il lavoro artigianale, per l'impegno sportivo e rionale. Me li ricordo bene tanti anni fa i due fidanzati nella più classica delle coppie sorianesi: lo spadaccino e la tamburina, bianconeri. Sono diventati una famiglia, una bella famiglia che tanto ha combattuto.
Non doveva capitare ad un marito giovane, un padre, un figlio, un fratello, uno zio; invece capita e ti arriva la notizia come uno schiaffo, quello che non vorresti mai leggere tra i commenti social.
Il dolore della perdita, poi, in questo periodo dell'anno assume anche un sapore beffardo quando ti si stringe il cuore e vorresti urlare ma in lontananza arrivano il ritmo rullante gli applausi e la campana della Torre dell'Orologio de' Piazza.
Non resta che stringere chi resta in un abbraccio forte forte, le parole sono quasi inutili, ma uscite dal cuore.
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