Scrivo per riordinare le mie idee, le sensazioni e le emozioni, mi aiuta, da sempre. E poi perché tra i miei affezionati lettori ritrovo persone che mi possono capire, amici, sodali e qualcuno che può offrirmi una chiave di lettura giusta.
È fine giornata, ultimo giorno di scuola del 2024 ed io sento forte il bisogno di uno sfogo, di un riequilibrio perché credo di aver fallito, almeno in parte.
Da supplente, anche annuale, ti muovi con circospezione, chiedi supporto e cammini in punta di piedi per non esagerare e non strafare, per paura di sbagliare.
Quando comincia un nuovo mandato, un contratto di arruolamento ti senti potente ed invincibile, ricco di idee e di progetti, forte delle teorie pedagogiche strutturali ontologiche cosmiche.
Ti senti come il professore dell'Attimo Fuggente, un vate e una guida intellettuale, un modello di vita. Lavoro, impegno, strategie: sali in cattedra e aspetti che tutti pendano dalle tue labbra, provino il tuo forte sentire, suonino la stessa marcia. Perché è bello, giusto e non può essere altrimenti.
Poi apri gli occhi, respiri, ti guardi intorno e ti accorgi che ci sono assenze importanti, ascolti scuse improbabili quanto imbarazzanti, la classifica delle tue priorità non combacia non quella dei tuoi alunni, metà classe non ha aderito alla tua iniziativa, le proposte innovative e sensazionali non riscuotono successo nelle famiglie... e si potrebbe allungare l'elenco con altri dieci pesanti considerazioni.
Che si fa in questi casi?
Rifletti e comprendi chi si ferma "al minimo sindacale", chi si sforza ma non più di tanto, chi fa il suo e tanto basta, perché comunque raccoglie tifo da stadio e simpatizzanti affini.
Magari arrivi a pensare che nessuno si accorge dei tuoi sforzi e tutto rimane scontato, dovuto, misero.
Inutile investire energie e denari, raschiare il fondo per una realtà che disturba, sottrarre attenzioni a chi ci aspetta a casa per estranei scostanti?
Sbattersi arrovellarsi pianificare per...?
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