Con questo termine abbiamo imparato a convivere da poco, pochissimo tempo; è entrato nel lessico quotidiano da quando si è diffusa a macchia d'olio la tecnologia del mondo a-portata-di-mano, anzi meglio di pollici. Globale il tuo divertimento, il tuo profilo, il tuo abbigliamento, il tuo attore, le tue vacanze, i tuoi "mi piace", alla velocità di un click!
Nel bene e nel male, solo che non ci arrendiamo al male e vorremmo solo godere degli aspetti positivi, dei benefici dell'essere sempre informati, raggiungibili, commentati e ammirati. Invece succede che il mondo ci rimandi anche immagini terribili di morte, di sofferenza, di tragedie, di quei famosi viaggi della speranza che dal nostro quotidiano punto di vista di adulti oppressi da tasse, lavoro determinato, banche esose e irresponsabili non riusciamo proprio a comprendere.
La guerra, la fame, lo sfruttamento, la scabbia, la desolazione non ci appartengono, ancor meno se siamo fortunati abitanti di piccoli centri di provincia scarsamente industrializzata e poco trafficata. Però non possiamo girarci dall'altra parte, evitare il confronto, negare l'aiuto, cercare di risolvere almeno in parte i problemi di fondo: cosa spingerà mai questi uomini e queste donne a lasciare la loro terra d'origine e affidare alle onde del mare capriccioso la loro sorte e, peggio, quella dei loro figli? Le associazioni umanitarie, quelle serie, sono impegnate in prima linea, operano sul posto: c'è chi rischia la vita ogni giorno in terra ostile per capire e far capire a noi, comodi trangugiatori da salotto di immagini disperate, la realtà.
Nel piccolo però c'è anche chi con la sua opera artistica richiama la nostra attenzione, decide di lavorare e impegnarsi nel sociale, convoca le istituzioni e l'amministrazione per avvicinare e avvicinarci a sofferenza, disperazione e solitudine. Guardiamo e parliamone.
Scultura di Rinaldo Capaldi.
Nessun commento:
Posta un commento