domenica 13 marzo 2016

LA CENA CHE NON MI E' PIACIUTA

 Sabato sera con la piccola e rumorosa famiglia, fa bene all'amore e all'unione anche se mette a dura prova il sistema nervoso dei grandi.
 Pargoli sovreccitati, contenti all'ennesima potenza perché si opta per cenare fuori casa, per rilassarsi un poco, coccolarsi e prendersi quei momenti di importanza dopo la settimana lavorativa, pregna di inciampi, incomprensioni e bracciodiferro vari.
 Si va nel capoluogo alla scoperta del locale aperto da poco, quello della catena americana, che ti offre il cibo incartato sotto due ponti dorati.
Folla accettabile, scelta e prenotazione tecnologica: grandi schermi verticali simili a tablet: i pargoli con l'indice pronto selezionano sicuri il loro baby-menù con giochino personalizzato in base al sesso, intanto ci sediamo mentre gli altri finiscono di toccare. Sedili colorati bassi, puff cilindrici intorno ad un tavolo, senza schienale, non so dove appoggiare i giubbotti, borsa e borsello finiscono sul tavolo in bella vista, pace.
 Alla cassa si paga contanti o bancomat e ti rilasciano uno scontrino per il servizio al tavolo di giovanotti muniti di auricolare, alla disperata ricerca del proprietario di panini e coca su vassoio marrone, ti girano intorno e li guardi finché non arriva il tuo turno. Fiammiferi di patatine striminziti, rintirizziti e oleosi troppo pochi per la mia fame, salse e striscioline di lattuga che fuoriescono dall'imbottito. Si mangia di corsa, la folla aumenta, chi si impappina con l'ordine chiede aiuto, ma i clienti che entrano sono più numerosi e veloci di quelli che consumano. Bisogna sbrigarsi, appena ingoiato l'ultimo unto boccone già ti chiedono il posto, alzarsi e scattare. Neanche il tempo di rilassarsi, meglio raccogliere giochini, bicchieri ancora pieni e salire in macchina.
 Fast food.



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