Succede allora che per qualsiasi motivo o impegno, stanchezza, sonno, riunioni fiume e quant'altro non ti connetti nel'arco delle ventiquattro-quarantotto ore e ti perdi di tutto. Poi siccome abiti in un paesino in cui tutti conoscono tutti, ti fermano per strada, al parcheggio o dove capita e ti raccontano di pseudo-discussioni, scambi di opinioni più o meno gentili, garbate, fotografiche, sceniche. Persone che commentano, nonostante non fossero presenti, opinionisti dell'ultima ora che comunque vada vogliono lasciare un segno, parole sibilate, scritte, alternate, anagrammate.
Quanto rimpiango le comari che affollavano casa mia, quando ero piccola e mia madre passava le ore seduta curva alla sua postazione di lavoro da sarta: un perfetto salotto, esclusivamente femminile, amiche e vicine più o meno pettegole che, per passare il tempo, rimanere in compagnia e scambiare quattro chiacchiere si rifugiavano da noi, il pomeriggio.
Parole, parole, parole pronunciate, politiche, religiose, bigotte, aggiornate, stantie, ma comunque udite e capite, accompagnate dal tono della voce, dalla mimica facciale, dai gesti di tutto il corpo.
Adoro scrivere, lo trovo anche terapeutico, ma certo quando c'è da capirsi, da emozionarsi, da giudicare non basta la frase, il modo di dire o l'immagine, meglio guardarsi negli occhi e provare imbarazzo, convinti però della propria ragione.
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