mercoledì 18 luglio 2018

SORIANO SPARITO

 Quest'articolo è solo una leggera riflessione, non vuole essere né completo né esaustivo, prendetelo per una semplice considerazione scaturita dalle esclamazioni di sorpresa dei miei figli, troppo giovani per ricordare certi luoghi e certi personaggi.

 Ho vissuto i primi venticinque anni della mia storia nel Novecento, mia madre non ha mai preso la patente, non avevamo il telefono fisso in casa e come tutti i miei coetanei ero un telecomando vivente del televisore in bianco e nero.
 La domenica si partecipava alla messa, la signora Perini controllava tutti i presenti e poi via da Sandro il giornalaio a comprare le figurine, CINQUECENTO LIRE cinque pacchetti; per finire il giro in rosticceria da Gianna, patatine a spicchi sotto la colatura dei polli nel girarrosto, niente di più squisito; nel pomeriggio d'inverno si frequentava l'oratorio di Sant'Agostino per vedere il cartone di Ryu, per giocare col biliardino o ai giochi da tavolo.

 Diversi i luoghi di ritrovo, uno era il Campetto dei Frati, oggi evoluto in parcheggio: all'imbrunire chi voleva fumare di nascosto trovava diversi punti strategici, perché se malauguratamente qualcuno - non solo uno di famiglia, un parente, bastava che si conoscesse un componente anche di terzo grado -  ti beccava erano schiaffi sicuri, dato che allora era normale "fare la spia", i genitori non si offendevano e non se la prendevano con il messaggero, anzi la comunità era in questo ben compatta nel controllare tutti i ragazzi.
 Il bar di Calogero: un'istituzione; ricordo in modo nitido quando la Roma vinse lo scudetto nel 1983, tutti i tifosi giallorossi del paese si dettero appuntamento lì all'incrocio con bandiere e striscioni per canzonare con cori e canzoni Calogero juventino sfegatato.

 Le scarpe si compravano da Vera e Turi; da Lullo per gli affettati, Diomede alle piazzette per Sali e Tabacchi. Le camere panoramiche da affittare vicino alla piazza centrale dalla Plautilla, il miglior sarto del paese era Benito con le sue dita gialle di tabacco e il centimetro di stoffa appoggiato sulle spalle come una stola; la sorella invece era Antonia la smacchiatrice.

In estate ci si riforniva al mercato dell'erba in Piazza Macello, che detta così suona male, ma c'erano le contadine che sistemavano i loro prodotti nelle cassette sotto ombrelloni verdi o marroni, altro che chilometri zero, con le bilance di ferro con un piatto, le catenelle e il contrappeso a goccia: ogni famiglia aveva la sua signora di fiducia, noi andavamo dalla Giulia La Lopa.

 Tutti si ritrovavano a studiare in biblioteca, per le ricerche o i famosi cartelloni da scrivere a mano, niente fotocopie o immagini scansionate: solo tre stanze al piano terra di un edificio sotto l'orologio della Rocca, stretti stretti e non tanto silenziosi; si andava a piedi e quando il lavoro era completo si tornava a casa, senza avvisare, telefonare, chiamare o aspettare.

 Al prossimo pensiero nostalgico, per ora è tutto.

Nessun commento:

Posta un commento