Ho qualcosa da dire e scrivo un articolo, fatto che accade ormai da più di dieci anni, un libro e tante conversazioni.
Oggi la mia professoressa del liceo mi ha inviato una foto, una sua novità cartacea importante: urge incontro per riallacciare vecchi discorsi e annodare fili di trame mai concluse.
Non tutto ruota come vorrei, neanche come dovrebbe in verità: vivo in un limbo di attesa, pondero risposte e costruisco discorsi tutti miei, poi la mia amica mi chiede se le devo confessare qualcosa, se ho bisogno di aiuto e glisso, fingo, mi raffreddo come se nulla fosse, tutto sotto controllo. Niente è sotto controllo.
Continuo a scrivere messaggi, richieste di attenzioni e desideri di confronto, sono ridicola perché non ricevo neanche risposta, vengo sistematicamente scartata, dimenticata, accantonata. Però io stoica persisto, la mia mente si arrovella nella disfatta, ipotizzo ciò che dovrei rispondere a domande mai poste e che mai verranno poste.
Personalità complessa, fatta di solitudine cercata e attenzioni desiderate, non cancello i messaggi che mi hanno offesa, quelli che ho finto di non capire, quelli che mi hanno inviato per sbaglio in cui mi si prendeva in giro: a imperitura memoria di come sono fatte le persone, della stessa sostanza di opportunismo.
Continuo a rimuginare, a organizzare e disdire, sperare e cucire rapporti: ancora di salvezza per il mio EGO. Vivo di questioni di principio, non manco mai alla parola data, ogni promessa è e un debito, mi vergogno se non concludo ciò che mi è stato affidato, pure se mi fa schifo.
Mi accanisco a rimanere anche dove non vorrei per non perdere l'ultimo contatto con certe persone che altrimenti uscirebbero dalla mia vita: per queste stesse persone sono quasi invisibile, c'è del masochismo nella mia sofferenza poetica. Peccato che non sia in corsa per il Nobel della Letteratura.
Attendo con ansia di entrare nell'Olimpo delle dee, per il momento vivo come Efesto, nella bocca di un vulcano, tutti sanno dove trovarmi, mentre forgio armi indistruttibili.
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