Ho conosciuto il fotografo Roberto Huner in occasione di una performance di Giuseppe Rossi - "Pino dacci un taglio" - esattamente tre anni fa. Garbatamente mi ha chiesto un commento critico alle sue foto; vi ripropongo il pezzo in questa sede esortandovi a conoscere la sua opera.
La "foto-sintesi" huneriana
Si può raccontare una realtà forte e complessa senza l'uso dei colori?
Il fotografo è un artista quando sceglie cosa ritrarre e cosa invece
lasciare fuori. Interpreta la realtà e ci restituisce il suo punto di
vista, secondo una sua personale scala di valori. Quali tecniche Huner
ha messo a fuoco per raccontarci la realtà con cui è venuto a contatto e
che ha conosciuto tanto da vicino? Mentre in un'opera pittorica ciò che
non è dipinto non esiste e solo nella nostra mente scatta il meccanismo
per cui si completa l'immagine mancante di alcuni parti, in fotografia è
l'uso sapiente della luce a far emergere oppure a occultare il
particolare voluto. La luce plasma le figure e le ammorbidisce. Huner
riesce a cogliere l'essenziale, l'anima del soggetto con il magistrale
impiego della luce radente, quella che si insinua di fianco, di lato e
spia gli incavi, le pieghe irregolari del volto, le rughe. Così il
raggio solare o quello artificiale entrano prepotentemente in scena da
destra come da sinistra per esaltare o per coprire, celare. In alcune
composizioni è veramente interessante il contrasto che si crea tra il
corpo scuro e il vestito, il copricapo o il velo bianchi, tra la pelle
bruna e la terra della strada arsa dal sole. Non sempre è presentato un
punto di vista frontale, ma anche il taglio di profilo o di tre quarti.
La sapiente organizzazione compositiva prevede un primo piano ben
delineato, netto e un secondo piano sfocato ma ben riconoscibile,
contestualizzante, seppure antitetico. Huner mette a confronto così la
vitalità e la morte, il presente e il passato, l'uomo e la natura, la
stasi e il movimento. Mentre in alcune foto il viso occupa tutto il
campo, in altre il corpo umano appare timidamente in un angolino per
lasciare aperto l'orizzonte, sono le foto en plein air. Dove c'è luce
c'è ombra, quell'ombra proiettata sulla strada bruciata, o su qualche
brandello di muro, che non funge solo da quinta architettonica, ma
sembra quasi una trasposizione visiva dei pensieri che si agitano sia
nella mente delle persone ritratte che in quelle dell'autore. Intuiamo
la presenza di alcuni corpi solo da queste ombre proiettate, una
presenza aleatoria, inconsistente, eterea, grigia che "costruisce" e
"sostituisce" il corpo fuori campo, alter ego indispensabile del
soggetto incompleto.
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