Sabato sera bollente, ho appena chiuso la tavola da stiro, continuerò il lavoro domani in giornata; ho aperto il portatile e sono seduta al tavolo della cucina: ho bisogno di scrivere, mi devo lasciare andare.
Ogni giorno capita qualcosa che mi destabilizza, un fatto che acchiappa la mia mente, un garbuglio che innesca congetture e giri di parole vorticosi: allora per metabolizzare rifletto e mi concentro, elaboro tutto un discorso interiore che prende la forma di articolo del blog. Non sempre poi mi impegno a scrivere di getto, succede che non abbia a disposizione quel tempo necessario per concludere, che non voglia ammorbare i miei lettori con paturnie o che sia allergica ai salamelecchi.
Questione di abitudine, un po' di solitudine anche: non ho sempre a portata di voce qualcuno con cui sfogare i miei interrogativi; scrivo con la certezza di sciogliere dubbi, creare condivisione, catapultare fuori incertezze che stringono il cuore a tanti.
Ci riesco?
Sono convincente, chiara, completa, intrigante o divertente?
Magari invece sfioro la noia, il reale scontato, il trito, non so.
Fatto sta che scrivo, con la pretesa di essere amata, capita e addirittura condivisa, perché sto cercando la spinta giusta a pubblicare, essere conosciuta, sfogliare...
E il bello sta nel vedere la mia autostima sulle montagne russe, nel giro di poco passo dalle stelle del firmamento letterario alle stalle della peggiore sciatteria e insipienza.
Ecco, tutto qui per il mio articolo numero 2256, a sette anni e due mesi dal primo.
C'è nessuno interessato a leggere quanto scrivo? Altrimenti cambio mestiere, giuro.
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