In questi giorni frenetici, di attività organizzazione e ultimi spiragli di lezione, è arrivata anche la risposta a tanti colleghi che hanno chiesto il trasferimento, ossia il cambio di sede di lavoro.
Ognuno ha le sue buone ragioni per chiedere lo spostamento: vicinanza a casa, figli piccoli o genitori anziani, desiderio di cambiamento, incompatibilità con altri colleghi, saturazione, ricerca di nuovi stimoli...
Non chiedo spiegazioni, in genere, ritengo che ogni lavoratore abbia ponderato per bene e a fondo i pro e i contro; mi baso di solito su quanto affermato dai diretti interessati strada facendo, cercando di interpretare umori e convinzioni.
Per quanto mi riguarda, non ho chiesto alcun cambio, sono più che convinta di rimanere dove sono, di essere utile in quella sede e di poter offrire ancora tanto. Di contro ho un lungo tragitto da affrontare ogni giorno che certo mi preoccupa, ma solo quello.
Lavorare vicino casa, godere della prossimità almeno per me non ha dato i suoi frutti, anzi: ho servito un anno sul mio territorio e purtroppo non mi sono trovata così bene da desiderare di ritornare o da spingermi ora a lasciare la strada vecchia per la nuova. Sul piatto della bilancia pongo la serenità, l'accoglienza, il rapporto che si crea tra colleghi, un luogo stimolante, un ruolo in cui sentirsi appagata stimata e parte del gruppo. Questo è fondamentale: alzarsi ogni mattino e affrontare la giornata di lavoro serenamente, sicuri di trovare comunque una soluzione ai tanti problemi che attendono il suono della campanella.
Per questo sono soddisfatta di quanto portato avanti, dell'entusiasmo che ogni giorno mi spinge a varcare quella porta: potrei sentirmi così in altre realtà? Non lo posso sapere, certo, ma il bello è che non mi interessa saperlo, no.
Per il momento non me lo chiedete più, non commentate le mie scelte, non sottoponete al vaglio i miei sacrosanti motivi per cui percorro quella strada contenta. Vi sembra così strano e innaturale? Sto bene lì.
A questo punto saranno quei poveri dolci preadolescenti a disperarsi della mia sicura ostinata presenza. Letteraria.
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