Non voglio innescare nessuna polemica, però oggi Viterbo ha offerto un esempio di organizzazione e accoglienza pessimo. Dopo trent'anni si organizza di nuovo un minimo di giornate di studi, dibattiti e confronti cultural-archeologici e ci ritroviamo parte di un matrimonio civile, con tanto di paggetti, composizioni floreali che vanno e vengono, cori da stadio di amici invitati - tifosi ultrà che salgono dalla piazza centrale, e mi fermo qui per non tediare.
Gironzolo tra i gazebo della suddetta piazza, tematici, un poco spogli e quasi privi di avventori, mi fermo a quello di Tarquinia, perla della civiltà etrusca e chiedo ad una gentile e caruccia signorina bionda come si chiamano le riproduzioni dei vasi conservati al Museo della città lì in bella mostra: la donzella candidamente mi risponde che non lo sa, è stata messa in quella postazione dal comune, per rappresentanza, ma non può aiutarmi, meglio consultare il sito ufficiale. Stendiamo il proverbiale velo pietoso e cinque minuti di raccoglimento per i poveri disoccupati laureati della Tuscia e d'Italia.
Arriviamo alla conferenza che in particolare ho seguito, in programma alle dieci, ma iniziata con venti minuti di ritardo e inframezzata appunto dai sorridenti sposi: Francesca Ceci è stata meravigliosa, come sempre, spigliata, fresca, mai noiosa o ripetitiva; invece, mi spiace dirlo, la seconda parte della presentazione era, a mio modesto avviso, avulsa dal contesto e dalle tematiche del convegno, meglio calcare la mano sulle testimonianze rupestri, sui ritrovamenti e le ultime scoperte tra i fitti boschi sorianesi.
I Bretoni popolano i miei incubi culturali.
Le foto sono state scattate dal maggiore dei miei figli, sempre in prima fila.
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