Chiacchiere tra adulti, commenti ai commenti, parole su parole, brividi gelidi.
Quanto sia diventato semplice abbattere il lavoro di una persona, ultimamente.
Riusciamo a montare un caso acclarato, manifesto, raccapricciante sul sentito dire, sul mio amico lo ha sentito da un suo amico, sul non può essere che così...
Si indaga, si scava, si interroga, ci si accanisce fino a quando la realtà da noi ipotizzata e immaginata non sia costruita, davanti ai nostri occhi, così come l'avevamo disegnata con i messaggi, le note vocali di gruppo, d'amicizia e affinità simili.
E poi i social, embè, i social sì che ci aiutano a smascherare, lanciare frecciatine, cogliere nel segno, punire e far arrivare al diretto interessato la nostra indignazione, il nostro insindacabile giudizio, la nostra considerazione giusta e assoluta.
Facile giudicare quando non si è coinvolti, quando si guarda la realtà dal proprio angolo di soggiorno, quando non si è parte integrante del gruppo di lavoro, ma ci si sente autorizzati a colpire per affondare.
Perché tutte le nostre considerazioni sono esatte, tutte le nostre recriminazioni hanno un senso, tutti i colpi che possiamo sparare devono essere sparati, costi quel che costi anche chiamare in causa gli alti livelli, la legge, la bilancia della dea Athena.
Come mai si fa tanto presto a sottolineare un errore, una mancanza, uno sbaglio, che riesca a sotterrare l'impegno di una vita? Tanta dedizione, tanti piccoli passi, tanto sudore annientato da una chiacchiera, un'esistenza senza macchia e raccogli quattro grazie scarsi.
Mah.
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