Tematica importante questa, che ha diviso la famiglia durante il pranzo domenicale, in un dibattito acceso e interessante, innescato da me e aumentato dalla mia dolce metà, anche questa volta contraria alla mia opinione, ma come mai?
Allora si tratta di agonismo, gare, prove e concorsi sportivi, tutti impegni difficili, costosi e formanti: intanto c'è una lunga e dura preparazione atletica alle spalle, poi le famiglie si devono sobbarcare molte spese per iscrizioni, accessori e trasporti vari e infine si deve incassare l'eventuale sconfitta.
Bene, a parer mio, si partecipa ad una gara quando si é in forma, quando si é preparati, quando si ha non dico possibilità di vincere, ma comunque una certa sicurezza agonistica.
Mio marito, con alle spalle molti anni di gare da judoka, sostiene che la bravura non esiste nella ristretta sala dell'allenamento, che vale molto di più una gara in cui ci si confronta con l'avversario e ci si rende conto dei propri limiti che una semplice lezione in vista del saggio finale, di rappresentanza. Dopo ogni gara e ogni sconfitta, pur mortificati e mogi, si riguardano gli errori, dopo la sfuriata dell'allenatore, ci si rende conto dello sbaglio e da lì si riprende, si ricomincia.
Ognuno è rimasto naturalmente del proprio parere: non ho mai affrontato una prova senza essere più che preparata, secondo il mio punto di vista, certo; ogni esame universitario affrontato al massimo livello di studio, non sempre ripagato naturalmente, ma non mi sono mai seduta davanti ad un professore senza essere sicura di quanto rispondessi, ad esempio.
Certo, la prova fisica é particolare, la gara ti forma, sei spronato a migliorare, a competere con i muscoli, la forza, la leggiadria degli altri e ne esci più fortificato; basta però non aspettarsi troppo, non viaggiare con la realtà chissà fino a quale cielo, quale Iperuranio della superiorità umana, per poi cadere miseramente in un'angoscia di incapacità immobilizzante.
Ad ognuno i suoi meriti, ad ognuno le sue idee, nel rispetto reciproco.
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