Lo ripeto sempre più spesso, a scuola a quei cari ragazzi dei miei alunni: un lavoro, qualsiasi esso sia, ti dà la dignità di vivere, di affrontare e risolvere i problemi quotidiani, senza lavoro difficile sentirsi uomo, sentirsi utile e camminare a testa alta per strada.
E l'istruzione? L'unica realtà che ci permette di essere e di sentirci tutti uguali e non in modo illusorio: seduti sui banchi ci stanno tutti, tutti ascoltano e vengono ascoltati.
E niente, a questo punto dell'anno scolastico, con alle porte il rinnovo dei documenti da presentare in segreteria, vale la pena continuare per questa strada? Vale la pena illuminarsi di immenso scolastico o sarebbe auspicabile ripiegare su altri fronti? Che siano artistici, ludici, naturalistici, commerciali magari...
Per molti insegnare non é un mestiere da prendere in considerazione: troppi grattacapi, poca pazienza e soprattutto rapporto scuola/famiglia; siamo arrivati al punto che un insegnante deve saper dimostrare ai genitori, che magari sono stati latitanti per tutto l'anno scolastico, di avere tentato tutte le strade, di aver messo in campo tutte le possibili soluzioni per valutare il pargolo, per non metterlo in difficoltà con un piano di studi adatto e costruito su misura. Peccato poi che quegli stessi genitori forniscano e foraggino il massimo strumento di distrazione, alienazione e rincogli@mento al figlio, l'odiato cellulare...
E poi quanto amore per il tuo lavoro devi aver immagazzinato prima di entrare in una classe in cui non sei mai il benvenuto, in cui si vorrebbe ascoltare di tutto tranne i nomi dei papi, dei condottieri o la vita e le opere di quel Bocca...come? Boccaccesco!
E vogliamo parlare dell'alta considerazione del ruolo di educatore? Parolacce, insulti, chiacchiere e pettegolezzi, apprezzamenti, liti e litigi, indice alzato da quegli stessi adulti che ogni mattina affidano al docente la prole, che certo però non si può definire selvaggia, non sarebbe politicamente corretto!
E poi ci sono quegli studenti che ti chiedono un occhio di riguardo allo scadere del tempo loro concesso, quando comincia la strizza, quando si cerca di mettere una pezza striminzita a nove mesi di passione e attaccano con frasi pesanti, lacrimevoli, tossiche sul ruolo del consiglio nella decisione della bocciatura, come se non dipendesse dal loro scarso impegno, ma da un'entità soprannaturale da invocare anche con qualche sacrificio umano, meglio se la pelle di chi supplisce...
Ne vale veramente la pena?
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