Da tempo ormai gira la notizia di un prossimo concorso per coloro che aspirano a diventare insegnanti: non ho ancora deciso bene cosa farò da grande, intanto però comincio a documentarmi lenta lenta e ascolto, leggo, sfoglio qualcosa elaborato con parole grosse, importanti, concetti chiave e competenze, progettazione e unità didattiche.
Poi vengono resi noti i risultati INVALSI, cioè i risultati di quei test nazionali somministrati a determinati classi su tutto il territorio nazionale, che rilanciano la fotografia pessima, ma si dovrebbe usare un aggettivo più duro, della situazione dei nostri studenti.
E allora fiumi di inchiostro, link, pensieri parole opere e omissioni di ogni addetto ai lavori.
È evidente la disparità Nord - Sud del Paese, ma non solo; comunque i nostri ragazzi leggono e non capiscono, leggono e non riescono a riassumere, leggono e non memorizzano, qualsiasi testo.
E ricordiamoci che si tratta della lingua madre, se non capisco l'italiano, se non conosco le parole usate, se incontro termini che non comprendo in una qualsiasi materia, come potrò risolvere un problema, spiegare una legge fisica, riprodurre un esperimento, seguire le istruzioni per montare uno strumento, soprattutto come riuscirò a farmi capire dagli altri?
Allora, mi chiedo, la scuola, cosa fa la scuola?
Insegnare è una missione, un ripiego, un'alternativa, un rifugium peccatorum... Ed io ne sono all'altezza?
https://www.tpi.it/2019/07/10/risultati-invalsi-2019/
Questo scrive Anna Oleverio Ferraris:
Complessivamente, alla fine delle scuole superiori uno studente su tre non ha un rendimento in italiano sufficiente e in matematica solo il 58,3% raggiunge un livello soddisfacente. Di fronte a un testo di normale complessità molti ragazzi non comprendono il significato di ciò che leggono. Le cause? Più d'una, ovviamente. Non tutte le nostre scuole raggiungono il livello auspicato e la politica scolastica nel nostro Paese continua a essere carente rispetto ad altri paesi europei. I risultati alle prove Invalsi erano dunque prevedibili. In più molti ragazzi crescono oggi in contesti che non sono formativi. Da un lato un uso sconsiderato delle tecnologie che favorisce la superficialità e scoraggia l'approfondimento. Dall'altro genitori che danno scarsa importanza alla formazione culturale dei figli. Non considerano che parte del capitale culturale lo si acquisisce per "osmosi" in famiglia e nel proprio ambiente di vita: in maniera informale nei dialoghi, nelle discussioni, nelle letture di libri e giornali, nella visione di film di qualità, nei viaggi, nelle visite ai musei ecc. non certo esponendo i figli fin da piccolissimi ai programmi trash della tv o dando loro dei giochini ripetitivi per tenerli tranquilli. Ecco allora la necessità di far comprendere a questi genitori che la cultura apre le menti, sviluppa la sensibilità, promuove il pensiero critico, aiuta a capire il mondo e che la povertà educativa crea disuguaglianze sempre più forti tra famiglia e famiglia, tra contesto e contesto, tra territorio e territorio. Lo possono fare gli insegnanti, gli assessori alla cultura, gli educatori in genere, ma anche i mass media potrebbero dare un contributo se recuperassero quella che un tempo rivendicavano come la loro "mission educativa".
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