mercoledì 17 dicembre 2014

AVANTI UN ALTRO

Nella piccola comunità in cui vivo, ogni fatto privato diventa nel giro di poco pubblico, con tanto di orpelli di commenti. Un negozio che chiude è un fatto che suscita pensieri e parole, specie se di tratta di uno di quelli storici, portati avanti da generazione in generazione. Diventa praticamente un argomento clou. E le persone reagiscono in modi diversi, c'è chi grida allo scandalo e si rammarica di una tradizione andata perduta, c'è chi fa spallucce e pensa che al mondo accada anche di peggio e che siamo più o meno tutti vittime della crisi.
Già, oggi tutto dipende dalla crisi, niente sembra più basarsi sulla nostra volontà e sul nostro operato. Ci dobbiamo adeguare ai tempi, alla moda, alla globalizzazione.
La concorrenza degli stranieri ha segato le buone intenzioni di molti negozianti, ma la clientela è libera di scegliere il minor prezzo. Peccato che poi i servizi, scuole e ospedali in primis, che chiediamo allo Stato siano pagati dalle nostre tasse.
Mia madre lavora da più di quarant'anni con amore e dedizione, ancora si appassiona al suo operato e alle sue creazioni, sono però fortemente cambiate le richieste delle clienti. Un tempo confezionava abiti, anche da cerimonia, per signore, di tutte le taglie, specialmente quelle forti. Oggi invece si è molto svalutato il suo lavoro artigianale: non è più concorrenziale comprare materiale e pagare le ore di lavoro. Anzi, quasi non conviene più neanche apportare modifiche al capo, meglio buttarlo e comprarne uno nuovo per pochi euro.
Ricordo ancora con molto affetto e quasi venerazione il vecchio Benito, un signor sarto, vestito sempre elegante con il suo centimetro sulle spalle, intorno al collo, le dita gialle per la sigaretta sempre accesa, sua sorella Antonia la smacchiatrice, integerrima e ferma sulle sue idee politiche.

Mestieri antichi andati o quasi, nuove generazioni confuse sul da farsi, sul futuro, sul mestiere del nonno da accantonare.




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