venerdì 7 luglio 2017

TEGOLE ROSSE

 Incontro molto interessante, alla Pensilina al Sacrario di Viterbo: quattro donne, un libro, qualche pagina e tante riflessioni. Questo in poche mosse l'appuntamento a cui mi ha invitata la professoressa Baleani, che ha curato la prefazione del libro che è stato presentato.
 Sala gremita, veramente, gente normale, niente dottoroni né professoroni né parrucconi: spontaneo il tutto, agitata e nervosa la scrittrice, molto emozionata a parlare di sé e del suo lavoro; anni di racconti, parole e ripensamenti tenuti nel cassetto, fino a quando non ha trovato il coraggio di far leggere il tutto alla persona giusta, la prof. Baleani appunto che l'ha incoraggiata a cercare un editore. Che bello, sembra una di quelle storie a lieto fine!
 Gli interventi si sono alternati in modo veloce, simpatico e per niente pesante: la rappresentante della Casa Editrice Diana Ghaleb,  Gabriella Norcia che ha letto interpretando dei brani, l'autrice Sabrina Sessa e la professoressa Baleani che ha aperto e chiuso le "chiacchiere".
 Come si può non scrivere?
 Come scegliere un ottimo e accattivante titolo?
 Perché scrivere una raccolta di racconti?
 Racconto o romanzo? Quanto di personale c'è in ogni pagina?
 Sono in tutto tredici racconti, alcuni dalle tematiche molto forti, che vedono come protagonisti nove uomini e solo quattro donne: ma come riportare i ragionamenti e i pensieri di un uomo? Quali differenze con la mente e il comportamento femminili?

  1.  Il tempo è scivolato via veloce, particolarmente azzeccati i brani scelti per catturare i presenti in un silenzio carico di interesse per le sorti di una sposa bambina, un ragazzo bullizzato, una giovane sfruttata, i tifosi della Nazionale e tante altre persone/personaggi molto simili a noi.

 Vinta un po' di timidezza, mi sono presentata, forse un po' incoraggiata, a Diana Ghaleb, chissà se un giorno anch'io...

 Significato del titolo svelato:

TIMIDEZZA

Appena seppi, solamente, che esistevo
e che avrei potuto essere, continuare,
ebbi paura di ciò, della vita,
desiderai che non mi vedessero,
che non si conoscesse la mia esistenza.
Divenni magro, pallido, assente,
non volli parlare perché non potessero
riconoscere la mia voce, non volli vedere
perché non mi vedessero,
camminando, mi strinsi contro il muro
come un’ombra che scivoli via.
Mi sarei vestito
di tegole rosse
, di fumo,
per restare lì, ma invisibile,
essere presente in tutto, ma lungi,
conservare la mia identità oscura,
legata al ritmo della primavera.
[Pablo Neruda]






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