Che la cultura non paghi, lo abbiamo detto e ridetto; che il sogno di diventare una scrittrice sia irrealizzabile, è appurato; che in un piccolo paese di collina ci siano poche opportunità di lavoro, è risaputo; che la legge non è uguale per tutti, è pura verità.
Oggi ho questo dubbio assillante: posso continuare a dedicarmi all'arte, alla conoscenza, al volontariato e ad occasioni che raccolgano questi tre realtà in questo momento della mia vita?
Non ho un lavoro o una posizione sociale tali per cui mi possa impegnare anima e corpo in progetti, idee, situazioni culturali diafane, eteree, come dire poco concrete; l'azione gratuita è però l'unica che mi venga proposta.
Certo si solletica la mia vanità, mi si prospetta una piazza riconoscente, si tessono le mie lodi, ma poi che mi rimane? E la vita di tutti i giorni, le spese e le imprese?
Posso continuare a lavorare per affrontare spese - e quindi sottrarre soldi alla famiglia - per spostamenti, vitto e quant'altro, perché non mi si riconosce neanche un minimo rimborso spese?
Mi devo far conoscere, mi devo ritagliare un posto nel mondo, d'accordo, ma per quanto tempo? Con quali conseguenze nell'immediato della mia quotidianità, già molto movimentata e difficile?
Sono ben disposta a percorrere una strada in salita, continuare a studiare per sciogliere dubbi artistici, collaborare a giornate di cultura, parlare, spiegare e incontrare gli altri, ma in cambio di cosa?
Di buoni propositi, promesse, paroloni, non si campa, invece con poco concreto e minimo sindacale si campa male, ma si campa.
Annibale-Carracci, “Il mangiatore di fagioli”, 1583-1584, Galleria Colonna, Roma.
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