Ancora una volta, oggi pomeriggio abbiamo affrontato questo discorso: vivere lontani non significa non esserci o non volersi bene, ognuno decide della propria esistenza, ognuno trova un equilibrio, ognuno deve essere rispettato per quanto ha scelto.
Come al solito, la teoria mi è chiara, in pratica vedo nero e non riesco a provare solo gioia per la sua vita "felice" senza considerare i momenti, i compleanni e le feste persi.
C'è chi afferma che è meglio così, perché tanto in Italia e ancor di più nel nostro paesello in fondo non c'è futuro, non ci sono opportunità di lavoro o di metter su famiglia. Non sono d'accordo, naturalmente, però apprezzo veramente chi riesce a lasciare tutti per trovare fortuna in un paese straniero e di sicuro poco accogliente nei confronti degli stranieri, accusati sempre di sottrarre lavoro agli indigeni.
L'altro giorno una signora mi raccontava entusiasta del lavoro del figlio, della sua contentezza che lasci il paesello, a cui neanche lei si sente più legata ormai morti i genitori.
Ma se ce andiamo tutti, chi salverà l'Italia? E nel piccolo, chi porterà avanti la vita paesana, le tradizioni e la cultura?
Non mi piace considerare i piccoli centri storici come corpi in lenta putrefazione, ma sembra che questo sia il prezzo della globalizzazione.
Vi ricordate quella vecchia canzone che fa...
Paese mio che stai sulla collina
disteso come un vecchio addormentato
la noia l'abbandono
niente son la tua malattia...
disteso come un vecchio addormentato
la noia l'abbandono
niente son la tua malattia...
JEAN-BAPTISTE-CAMILLE COROT
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